L’idea di sintetizzare un’articolata esperienza scolastica nelle poche pagine di un articolo è temeraria, perché molte sono le inevitabili rinunce. Se è un’impresa che non può ambire alla completezza, può, tuttavia, abbozzare il profilo di un’esperienza, ormai pluriennale, perfettamente riuscita. Ci sono parole-bandiera, parolechiave: qui la parola è Passione. «Se fossi tiranno, stabilirei una multa per ogni maiuscola non strettamente doverosa o necessaria», scriveva Dino Buzzati, nel 1958, in un articolo sul Corriere della Sera. Ebbene, il “Kafka italiano” ci risparmierebbe la contravvenzione, per l’uso della maiuscola usata per la parola Passione. Ci giustificherebbe, perché qui la maiuscola serve una verità che l’esperienza di una scuola, in provincia di Milano, ha inverato. Palcoscenico dove la Passione va in scena è l’Istituto Tecnico “Enrico Mattei”, di Rho: luogo in cui al sapere contemplativo si associa la prassi del fare, grazie al Corso di “Tecnologo del calcestruzzo”, rivolto alle classi 3^ A CAT, 3^ BTL, 4^ A CAT e 5^ A CAT. Il corso, che inizia a ottobre e si conclude a maggio, si articola in tre anni scolastici. Gli argomenti trattatati sono: lo studio degli aggregati e le prove di laboratorio (terzo anno); studio del cemento e prove di laboratorio (quarto anno); calcestruzzo (mix-design) per il quinto anno.
Le lezioni ed i laboratori, preceduti da un test d’ingresso, sono tenuti da docenti del comitato tecnico scientifico dell’Istituto Italiano per il Calcestruzzo, di Renate (MB), in collaborazione con i docenti dell1stituto Mattei. Gli esperti introducono gli elementi teorici e sviluppano i laboratori, mentre i docenti di materia riprendono in classe gli argomenti trattatati, e valutano le conoscenze e le abilità acquisite dallo studente. Al quinto anno, gli studenti hanno l’opportunità di mettere in gioco le conoscenze e le abilità maturate progettando un manufatto.
Mondi che si incontrano
Nel corso di “Tecnologo del calcestruzzo” accade (tra molte altre cose) che l’universo intellettuale di una generazione incontra quello di un professionista ottantaduenne, in una felice dimensione di interferenze, nel fissarsi di temi e operando un “magico” travaso di competenze e, soprattutto, e per l’appunto, di Passione. I corsi, infatti, sono aperti da una lezione inaugurale tenuta dal geometra Silvio Cocco, Presidente Fondazione IIC (Istituto Italiano per il Calcestruzzo). Le parole del geometra Cocco – per diretta ammissione dei ragazzi e dei docenti – hanno l’effetto di liberare l’immaginazione degli studenti, di allontanarli da un linguaggio previsto che limita le libertà delle letture possibili e che, soprattutto, non genera “sorpresa”. Chi scrive ha recentemente conosciuto il geometra e può assicurare che ha doti che bastano ad assicurargli un primato di comunicatore: può procurare stupore anche a chi (come chi scrive), non è più da un pezzo un liceale (purtroppo)!
Esiste un tipo di apprendimento che ci modifica, che ci fa crescere e che richiede che ci si metta profondamente in gioco. Esistono altre forme di apprendimento che contemplano una partecipazione diversa, per intensità e qualità, e, infine, forme di apprendimento (presunte) non ripensate e rielaborate. Qui siamo nell’ambito della partecipazione spiazzante, che si risolve in un apprendimento intinto nella concreta coloritura del laboratorio e del manufatto, e che, nondimeno, trova poi lo spazio della sedimentazione e della rielaborazione.
È un’esperienza che permette agli studenti di trasferirsi nel campo del fare e che, soprattutto, consente loro di sganciarsi dalle parole dell’effimero che, oggi, caratterizzano molti ambiti del sapere. È, soprattutto, un modo di fare didattica che possiamo definire il riuscito punto di condensazione tra la pratica e la teoria. Ma lasciamo che sia la voce dei protagonisti a spiegarci meglio l’esperienza di cui parliamo.
La Professoressa Alice Piovani
Abbiamo sentito la professoressa Alice Piovani dell’Istituto Enrico Mattei di Rho. Docente di Topografia. La professoressa insegna nel corso Cat (Costruzione Ambiente Territorio), che è, in sostanza, l’ex istituto tecnico per geometra.
Come vi siete avvicinati all’Istituto Italiano per il Calcestruzzo?
L’esperienza di scuola lavoro fatta dalla nostra scuola prima che divenisse un obbligo ci ha portato, come docenti, a rivedere la nostra progettazione didattica in funzione delle competenze e dei requisiti professionali richiesti dalla realtà economico produttiva del nostro territorio. Ci siamo dunque avvicinati alle aziende e, con alcune di loro che avevano a cuore la formazione degli studenti, è iniziato un proficuo rapporto di collaborazione. Una di queste aziende era l’Istituto Italiano per il Calcestruzzo (IIC), nelle figure del geometra Silvio Cocco e della dottoressa Valeria Campioni. Avevo letto alcuni articoli sul loro impegno nella formazione all’interno delle scuole del nostro indirizzo e mi era piaciuto l’approccio. Di conseguenza, nel 2015 li ho contattati. Ho trovato degli interlocutori disponibili e pronti a collaborare con la scuola. L’esperienza è stata da subito positiva. Abbiamo inizialmente partecipato ad un convegno, organizzato dall’IIC all’interno della Fiera dell’Edilizia, a cui avevo portato dei ragazzi. È seguita una visita alla sede dell’IIC. Ai ragazzi avevo chiesto un feedback dell’esperienza per capire se fosse stata a loro utile. Ebbene, sono rimasta favorevolmente colpita da quello che avevano scritto.
Può citarci qualche passaggio?
Le leggo le considerazioni di un ragazzo di terza che aveva appena cominciato un percorso di specializzazione: «L’uscita didattica effettuata lunedì 11 maggio presso l’Istituto Italiano per il Calcestruzzo si è rivelata interessante e indispensabile sotto vari punti di vista. Secondo il mio parere, questa esperienza mi ha fatto ancora meglio approfondire le caratteristiche e le funzionalità di questo conglomerato artificiale molto utilizzato in edilizia. Mi ha colpito inoltre l’incontro con il geometra, nonché nostra guida e direttore dell’azienda. Egli ha subito messo in evidenza, a tutti i presenti, la forza e la passione che impiega in questa attività, e anche dopo tanti anni non è mai stanco. Lui stesso, anzi, insieme ai suoi colleghi, sono sempre più decisi e determinati nel crescere e proteggere al meglio quello che è stato il frutto del loro lavoro, offrendo sempre di più riguardo a questo materiale. Un’altra cosa che mi ha colpito durante questa visita è stato il suo discorso finale o insegnamento di vita. Il direttore ci ha esortato a perseguire i nostri sogni e a puntare in alto, perché, secondo lui, come ha ribadito più volte, un uomo è nato per ingegnarsi e questo lo distingue dall’animale. Questo suggerimento finale mi stimola e mi incoraggia ancora di più nel mio lavoro di studente». Oltre a questo, altri commenti di tono analogo ci hanno fatto capire che i ragazzi erano rimasti impressionati dalla passione e dalla competenza con cui queste persone svolgono il proprio lavoro. La sfida per un insegnante sta nel proporre agli studenti un’esperienza reale e diretta che appassioni ad un’avventura conoscitiva e, dopo questi riscontri da parte degli studenti, è nato il desiderio di inserire questa esperienza nel nostro percorso didattico strutturandola come un corso tenuto da esperti esterni coadiuvati da insegnanti della materia. Un corso non solo teorico, ma anche laboratoriale che alla fine potesse generare delle competenze. Devo ringraziare la nostra dirigente scolastica, prof.ssa Maria Lamari, e soprattutto i miei colleghi per aver creduto nell’efficacia di questa esperienza rendendola possibile.
Come avete strutturato il corso?
Inserendolo all’interno del nostro orario scolastico in tre anni. In terza, i ragazzi studiano gli aggregati: ci sono lezioni teoriche tenute dalla dottoressa Valeria Campioni dell’Istituto Italiano per il Calcestruzzo. I ragazzi, in tal modo, si relazionano con qualcuno che lavora proprio in quell’ambito. C’è poi una parte di laboratorio in cui sono condotte le prove, che vengono effettivamente svolte anche dall’IIC.
Le prove vengono svolte a scuola o presso la sede dell’IIC?
Le prove, inizialmente, venivano svolte nella sede dell’Istituto Italiano per il Calcestruzzo. Tuttavia, essendo la sede dell’IIC a Renate, la soluzione più comoda e congrua per tutti è stata quella di decidere di trasformare le nostre aule di chimica in piccoli laboratori. In questo processo di adattamento l’Istituto Italiano per il Calcestruzzo ci ha dato realmente una grande mano.
Le prime esercitazioni sono svolte dai tecnici dell’Istituto Italiano per il Calcestruzzo, con un gruppo ristretto di studenti. In seguito, i nostri tecnici di laboratorio le replicano agli altri studenti, perché sarebbe complicato riuscire a seguire in laboratorio più di venti ragazzi.
Il progetto è maturato nel corso del tempo. In che modo?
Nel 2015 ci siamo incontrati, come dicevo in precedenza, con l’Istituto Italiano per il Calcestruzzo. E ci siamo istantaneamente piaciuti. Entrambi, del resto, avevamo il bisogno di formare i ragazzi. E sulla base di tale necessità è nata questa forma di collaborazione. L’Istituto Italiano per il Calcestruzzo ha bisogno di gente preparata. E noi desideriamo che i nostri ragazzi, al termine del proprio percorso di studi, abbiamo competenze che siano immediatamente spendibili nel mondo del lavoro. Del resto, questa è la nostra vocazione: siamo un istituto tecnico.
Quindi è nel 2016 che inizia il vero e proprio percorso formativo?
Sì. Inizia il percorso che ogni anno è stato parzialmente ridefinito per raggiungere gli obiettivi che ci eravamo prefissati. Non è stato semplice. Si parla profusamente di scuola delle competenze, ma la competenza non è un oggetto da trasmettere dall’insegnante all’alunno, ma un’azione inserita in un percorso formativo ordinato perché questa parola non funzioni come un semplice contenitore di pratiche burocratiche. Infatti, proprio perché questa competenza affiorasse, negli ultimi due anni abbiamo deciso di far realizzare ai ragazzi dei manufatti. E qui devo ringraziare il professor Magni, docente di progettazione.
Abbiamo così riscontrato, nel percorso di realizzazione di questi manufatti, come la realtà educhi. Gli studenti, nel mettere “le mani in pasta”, capiscono di aver acquisito una competenza, un saper fare che li rende appagati e giustamente orgogliosi.
Questa è la formula più evoluta che finora avete elaborato? E risale all’anno scorso?
Sì. Siamo riusciti ad averla vinta sul Covid. Non volevamo rinunciare a questo progetto. Abbiamo svolto lezioni online dove simulavamo prove di laboratorio, che chiaramente non potevano avere la stessa valenza di quelle svolte in presenza. Questa fatica supplementare ci ha permesso di arrivare a chiederci: perché non realizzare concretamente qualcosa? Ci siamo detti: “regaliamo ai ragazzi un’esperienza: la realizzazione di un manufatto.”
Quindi, paradossalmente, la dimensione online ha favorito quella concretissima della materia.
Esatto. Volevamo che i ragazzi potessero apprezzare l’aspetto laboratoriale che era venuto meno a causa della didattica a distanza. In realtà, siamo andati oltre. Da una penalità è nata un’opportunità. Lo scorso anno l’abbiamo riproposta con una modalità online per alcune lezioni teoriche, mentre i laboratori sono stati svolti in presenza. La sezione in presenza è indispensabile affinché i ragazzi possano soddisfare il bisogno connaturato che hanno di incontrare professionisti appassionati come il geometra Cocco e i suoi collaboratori. Abbiamo, infatti, riscontrato come questa esperienza li solleciti particolarmente. Quest’anno proponiamo ancora questa formula mista.
Certo, si sente del resto…
Si sente e gli studenti se ne accorgono. L’incontro in presenza con il geometra Cocco e la dottoressa Campioni lo riteniamo imprescindibile proprio perché capiamo che quello è il momento trainante. È l’occasione che fa capire al ragazzo perché vale la pena seguire questo corso. È poi compito nostro, degli insegnanti, fare in modo che questo fascino non venga a cadere. Mi rendo conto che qui non passa solamente la conoscenza della materia, ma passa anche un’etica del lavoro che purtroppo ci siamo accorti che è venuta un poco a mancare.
Quella con l’IIC è l’unica vostra collaborazione? No. Ne abbiamo un’altra, ma di diversa natura. Con un’altra azienda che si occupa di energia.
Il professor Giuseppe Magni
Cosa insegna all’Istituto Tecnico Enrico Mattei e qual è il suo ruolo all’interno del progetto?
Sono docente di Progettazione, costruzione impianti. Con la professoressa Piovani seguo la parte organizzativa, per quanto riguarda i calendari.
Ad ogni inizio anno, in accordo con l’IIC, stabiliamo le ore che dobbiamo fare con la classe e le ore che fanno i tecnici dell’Istituto Italiano del Calcestruzzo. Negli ultimi due anni, in cui si sono tenute parecchie lezione online, ho organizzato molti incontri su Teams (la nostra piattaforma per seguire le lezioni). Mi occupo, dunque, di regolare la parte organizzativa di collegamento tra i ragazzi, tra la scuola e l’Istituto Italiano per il Calcestruzzo, e di registrare le presenze e le assenze, perché al termine del corso viene anche rilasciato un attestato. Ma non solo questo. Per quanto riguarda la quinta, sia lo scorso anno sia quest’anno, siamo arrivati a un prodotto finale, cioè alla realizzazione di un piccolo manufatto in calcestruzzo armato.
Di cosa si tratta?
L’anno scorso abbiamo realizzato una panchina. Quest’anno ci siamo occupati di costruire uno sgabello. L’anno scorso abbiamo potuto disporre di più tempo. Siamo arrivati a fare, oltre alla bozza, anche un disegno in 30. Quest’anno siamo arrivati un po’ lunghi e il disegno è rimasto solo sulla bozza di carta. È però forse venuto meglio, forti dell’esperienza dell’anno precedente. Si tratta di un piccolo progetto, con un computo metrico, un minimo d’armatura. Abbiamo realizzato con i nostri assistenti tecnici in laboratorio anche il cassero. In seguito, i tecnici dell’IIC sono arrivati con la betoniera e con tutti i materiali necessari. Nel computo metrico abbiamo stabilito anche la tipologia di materiale che occorreva per realizzare quel calcestruzzo e abbiamo fatto il getto. Lo abbiamo lasciato maturare per una settimana e poi l’abbiamo scasserato. Le quattro lastre che compongono lo sgabello sono state montate con delle squadrette metalliche, dei tasselli e delle viti.
L’esperienza si è dimostrata significativa e i ragazzi, potendo gestire un prodotto finale, si sentono più coinvolti, che non solamente seguendo le pur fondamentali lezioni teoriche.
La voce dell’IIC: la dottoressa Valeria Campioni
Da che esigenza nasce e come si è strutturata questa collaborazione dell’Istituto Italiano per il calcestruzzo con l’Istituto Tecnico “Enrico Mattei”?
L’esigenza nasce dalla necessità di avere una figura professionale sul campo che sappia realmente cos’è il calcestruzzo e che si interponga tra l’ingegnere e le maestranze. Un professionista che sappia come si progetta il calcestruzzo, come si produce e si controlla. Questa esigenza è nata, già vent’anni fa, dalla sensibilità del geometra Silvio Cocco, che ha voluto e progettato dei corsi che dovevano andare incontro alla nascita di figure professionali vacanti nel settore del calcestruzzo e delle costruzioni. Si è pensato di andare nelle scuole che formavano i giovani geometri. Non tutte gli istituti scolastici hanno accettato questo tipo di approccio formativo. I dirigenti scolastici illuminati, come la professoressa Lamari, e dei professori entusiasti e disponibili, come la professoressa Piovani e il professor Magni, l’hanno sposato, anche per poter dare un’alternativa in più ai ragazzi dei loro corsi.
Io stessa, laureata in Chimica, ho imparato la chimica del calcestruzzo proprio dall’insegnamento del geometra Cocco, e vivendo il cantiere. A un certo punto della mia vita professionale, il mio laboratorio non è stato più quello che ero abituata a frequentare all’università, ma si è tramutato in un cantiere, con le tempistiche e le temperature che sono proprie di quest’ultimo. E solo sulla scorta di quest’esperienze ho potuto capire e, in seguito, cercare di rendere consapevoli i ragazzi delle problematiche che avrebbero incontrato quando la loro storia professionale avesse incrociato il mondo del cantiere. Risultato: sinora, chi ha avuto occasione di frequentare i corsi di Tecnologo del Calcestruzzo si è appassionato. Noi dell’Istituto Italiano per il Calcestruzzo promuoviamo la parte teorica, che è sicuramente importante, ma cerchiamo sempre di dare agli studenti anche la possibilità di fare le prove pratiche. Le nostre lezioni sono invariabilmente strutturate con il 50% di parte teorica e il 50% di parte pratica.
Ogni prima lezione di ogni corso viene sempre tenuta dal geometra Cocco. A 82 anni, egli si mette su un piano paritetico con i ragazzi per parlare con loro: la relazione è da geometra a geometra. E i ragazzi sono entusiasti della sua presenza.
Parte pratica cosa vuol dire?
Vuol dire lavorare in laboratorio. Se parliamo dell’importanza degli aggregati all’interno di un calcestruzzo dobbiamo capire quando un aggregato è di qualità. E lo è quando ha determinate caratteristiche. Queste caratteristiche si possono determinare solo con prove fisiche e chimico-fisiche in laboratorio. E quindi i ragazzi si cimentano in queste analisi. Spesso gli sottoponiamo dei sacchi con degli aggregati anonimi e loro devono saper scrivere una relazione dettagliata su ogni contenuto, devono essere in grado di poter descrivere ogni aggregato trovato non solo dal punto di vista organolettico, ma anche con dei numeri: con la distribuzione granulometrica, con l’analisi delle sostanze organiche, con la percentuale d’assorbimento, ecc. Devono imparare a caratterizzarlo. In pratica, imparano a fare la carta di identità di ciascun aggregato.
La stessa cosa la devono fare sul cemento e scoprono che non c’è un solo tipo di cemento, ma più di cento tipologie. Capiscono così quali sono le analisi da effettuarsi per determinare le diversità tra un cemento e l’altro. Fanno le analisi sull’acqua. Non arriviamo a fare le analisi sugli additivi, ma, se non altro, giungono a comprendere che esistono differenti famiglie di additivi che possono essere utilizzati nel calcestruzzo e che, in funzione dell’impiego di una specifica famiglia, possono ottenere calcestruzzi che hanno caratteristiche completamente diverse le une dalle altre, per i destini d’uso diversi.
Fornite anche un piccolo software?
Sì, certamente. Tra le prove pratiche c’è anche un laboratorio di informatica: è quella l’occasione in cui i ragazzi progettano anche il mix design degli aggregati. Al termine del corso la classe progetta il calcestruzzo per uno specifico utilizzo. In funzione della struttura, i ragazzi sanno scegliere il diametro più indicato. Fanno proprio una progettazione di mix design, preparano il cassero, preparano il calcestruzzo, fanno il getto, lo vibrano, lo staggiano. Seguono tutte le fasi: dall’analisi delle materie prime alla maturazione del getto.
Il corso prevede anche la visita a una cava che opera l’estrazione degli aggregati per le classi terze. Nelle quarte, quando trattiamo l’argomento cemento, organizziamo una visita in cementeria. Con l’ultimo anno di corso portiamo i ragazzi a visitare una centrale di betonaggio, per vedere come si produce il calcestruzzo.
Avete altre collaborazioni o solo questa con l’Istituto Tecnico “Enrico Mattei”?
Dovremmo aumentare le persone che seguono la formazione. Noi abbiamo iniziato a sviluppare questi processi formativi già nel 2004. Il primo istituto con il quale abbiamo collaborato fu l’Istituto di Istruzione Superiore Ezio Vanoni, di Vimercate. Siamo stati all’Achille Mapelli, di Monza, al Primo Levi, di Seregno, al Cattaneo, di Milano, al Virgilio Floriani, anch’esso di Vimercate, al Mosé Bianchi, di Monza, al Pandini, di Sant’Angelo Lodigiano, al Bavara, di Lecco, e al Baratta, di Voghera.
Abbiamo girato un po’ tutta la Lombardia, ma ci arrivano molte richieste da tutta Italia. Per ora non possiamo, purtroppo, assecondarle tutte, perché l’Istituto Italiano per il Calcestruzzo svolge questa attività con grande entusiasmo, ma anche con un sostenuto sforzo di risorse. Nonostante il nostro poco tempo e le sostenute risorse la nostra principale volontà è quella di trasmettere le nostre esperienze agli studenti, perché crediamo fortemente, e da anni, nei reali benefici di questa formula didattica. Abbiamo a cuore il loro futuro e sappiamo che la figura che proviamo a formare manca nel mercato delle costruzioni.
L’Istituto Italiano per il Calcestruzzo
È un’associazione no-profit. Il suo statuto prevede attività di ricerca, di formazione, e di assistenza tecnica da mettere a disposizione di chi, avendo come “campo” di interesse il mercato delle costruzioni, senta la necessità di approfondire e/o confrontare le sue necessità/conoscenze con esperti dei vari settori: enti pubblici; progettisti; direzioni lavori; imprese produttori ci cemento; produttori di calcestruzzo.
L’Istituto dispone di uffici direzionali, di aule per la formazione, di un laboratorio di ricerca sperimentale e prove materiali (chimico, chimico-fisico, e fisico-meccanico) e di alcuni laboratori mobili. L’Istituto ha concordato collaborazioni con Università italiane ed estere, con Enti di formazione-lavoro e importanti studi legali. Questa articolata struttura consente di offrire consulenze, perizie legali, aggiornamenti formazione e post-formazione, sempre aggiornata e tempestiva.