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L’Aeternum HTE sbarca nella città eterna

Tempo di lettura: 9 minuti

L’Aeternum HTE sbarca nella città eterna

Seminario tecnico organizzato dall’Istituto Italiano per il Calcestruzzo, coadiuvato dal responsabile assetto infrastrutturale rete direzione operation e coordinamento territoriale Anas, e per il quale sono stati rilasciati agli ingegneri presenti 6 CFP.

Teatro dell’iniziativa l’hotel Massimo D’Azeglio, a Roma, che, nella propria sala Risorgimento, ha ospitato i numerosi partecipanti. Per l’occasione, da parte dei relatori – il Geometra Silvio Cocco, la Dott. ssa Valeria Campioni, l’Ing. Giovanni Di Sciascio – si è espressa la fiducia nella possibilità di voltare finalmente pagina, per poter davvero arrivare al capitolo che possa ricomporre in armonia, in equilibrio, in proporzionato bilanciamento il “fare” calcestruzzo (di qualità) e il rispetto dell’ambiente. Gli stessi relatori, proprio per la chiarissima consapevolezza di quanto l’aspetto ambientale sia un tema narrativo che, a sproposito, satura ogni riflessione sul fare impresa, nei propri interventi hanno esposto problemi, evidenziato fatti e citato persone (cioè cantieri), per fornire riferimenti precisi e circostanziati: vale a dire per dare il senso della reale diversità fra la dimensione ambientale perseguita dalla ricerca dell’Istituto Italiano del Calcestruzzo e la prassi del fare calcestruzzo, oggi, in Italia. Il tema principe, dunque, è stato quello della durabilità ecosostenibile. Opere in calcestruzzo che siano capaci di durare a lungo nel tempo sono un beneficio per l’ambiente.

Ma molteplici sono stati i filoni narrativi che hanno caratterizzato il seminario formativo. Si sono ricordate alcune opere realizzate con l’AeternumCal, di Tekna Chem, sia in Italia sia nel mondo: ponti, viadotti, gallerie, banchine marittime, 2.500.000 m² di pavimentazioni industriali (tra di esse, quella posata nel 2005, per l’azienda Tenax, di Sirtori, ha fatto scuola). Si sono citate le malte da restauro (con l’esempio dell’intervento sui viadotti a Milano) e i microcalcestruzzi: tutti prodotti sostenuti dagli stessi criteri che hanno ispirato la formulazione dell’AeternumCal. Si è anche formulato l’elenco di alcune ragioni della rapida deperibilità delle costruzioni in calcestruzzo. Si sono esposte le nuove tecnologie applicate al ripristino (nell’intervento dell’Ing. Di Sciascio) e si è avuta anche una sintetica ricostruzione della ormai lunga (18 anni) e onorata storia di ricerca e sviluppo che sta alla base del progetto Aeternum e dei più recenti figli di questo progetto: l’Aeternum HTE e il software Tekna Struct.

 

Ricerca e assistenza

La Dott.ssa Valeria Campioni, vicepresidente dell’Istituto Italiano per il Calcestruzzo, ha aperto il proprio intervento con, a prima vista, una sfumatura d’amarcord. In realtà, le considerazioni della Campioni hanno evidenziato l’emblematica formula della ricerca dell’Istituto Italiano del Calcestruzzo: ricordando i propri esordi professionali accanto al Geometra Silvio Cocco, in qualità di neolaureata in chimica, e, dunque, estranea all’ambiente del calcestruzzo, ha evidenziato come la ricerca della qualità, per lo stesso Geom. Cocco, sia sempre stata stimolo e condizione di un allargamento delle competenze. È lo stesso Cocco a confermarlo: «Ho potuto mettere a punto un prodotto come l’Aeternum grazie all’apporto di collaboratori valenti».

 

Nel proprio intervento, la Dott.ssa Campioni ha anche citato uno studio, condotto negli anni Settanta, che riporta una statistica eseguita su un campione di 139 edifici affetti da diverse patologie riconducibili a sei cause principali: dallo studio emerge che il 41% delle patologie è derivante da cause tecnologiche, il 22% da ragioni costruttive, circa il 20% da motivi strutturali, il 7,9% per sovraccarichi, il 4,3% accidentali e il 3,6% da ragioni combinate. La causa preponderate delle patologie è dovuta, dunque, alla presenza di un calcestruzzo di qualità scadente. Ha origine, in sostanza, in una progettazione non adeguata del calcestruzzo, in un’inadeguata qualifica, in un’inadeguata analisi delle materie prime che compongono quel tipo di calcestruzzo. Le cause costruttive (il 22%) riguardano il mancato controllo della messa in opera. Va pur notato che, negli anni Settanta, tra le cause accidentali veniva contemplato solo l’incendio, mentre le cause sismiche non erano minimamente prese in considerazione.

«E quindi il 64% delle cause erano indotte dall’uso di un calcestruzzo di qualità scadente e a uno scadente controllo», precisa la Campioni. «Di conseguenza» – prosegue – «noi ci siamo focalizzati su questi due aspetti: aumentare le analisi sulle materie prime e accrescere il controllo. In sostanza, ci siamo focalizzati sulla ricerca e sull’assistenza, per arrivare al compound Aeternum». Aeternum, per chi ancora non lo sapesse, è un insieme di additivi che sono adeguatamente combinati tra di essi per sfruttare le sinergie che originano dal sapiente bilanciamento del compound. Con l’impiego di Aeternum si ha un calcestruzzo impermeabile all’acqua, al vapore, senza ritiri, con una totale resistenza ai cicli di gelo e disgelo, con un’altissima resistenza all’attacco di solfati e cloruri, con una sostenuta presenza di Materie Prime Seconde (altra ragione che induce a parlare, a proposito, di sostenibilità). Si ha, soprattutto, un calcestruzzo capace di durare per oltre 200 anni.

È stato proiettato, nel corso del seminario, un grafico in cui è riportata la differenza tra un calcestruzzo durevole, vale a dire impermeabile e non poroso, rispetto a un calcestruzzo non durevole, cioè abbastanza poroso. In un calcestruzzo durevole la CO2 impiega dieci anni a raggiungere 10 millimetri di penetrazione carbonatazione), mentre in un calcestruzzo non durevole la CO2 ne impiega tre, vale a dire meno della metà. E ancora: 63 anni per raggiungere 25 millimetri in un calcestruzzo durevole, quando in un calcestruzzo non durevole ne impiega solo diciannove. Servono 122 anni per raggiungere 35 millimetri di profondità in un calcestruzzo durevole a fronte di soli 37 anni di un calcestruzzo non durevole. La Campioni ha precisato che «il calcestruzzo, come noto, si sposa perfettamente con l’acciaio, perché i due materiali hanno lo stesso coefficiente di dilatazione, perché uno resiste a compressione e l’altro a trazione, ma, soprattutto, perché il calcestruzzo protegge l’acciaio. Ma c’è un però: non lo protegge più di tanto se non è fatto a regola d’arte. Anzi, non serve a molto avere 4/5 centimetri di copriferro, se, al contempo, produco un calcestruzzo poroso. Più l’ambiente è aggressivo, più devo ridurne la porosità, soprattutto in presenza di cloruri che rispetto all’anidride carbonica sono dieci volte più aggressivi».

La presentazione ha poi fatto il punto sulla classe di esposizione ai cicli di gelo e disgelo, quantità minima di aria imposta dalla normativa e spiegando che studi condotti dall’Istituto Italiano per il Calcestruzzo hanno dimostrato come un calcestruzzo con Aeternum sia più resistente ai cicli di gelo-disgelo di un calcestruzzo tradizionale, con l’aggiunta di aria, e più ecosostenibile». A ribadire il concetto è il Geom. Cocco: «Il fatto di ottenere un rapporto acqua/cemento bassissimo, il fatto di compensare le porosità con delle cristallizzazioni all’interno, porta ad avere un calcestruzzo in cui le porosità sono ridotte al minimo. Minor tenore di vuoti, massima densità e durata». Quanto all’Aeternum: «Ci permette, a parità di dosaggio di cemento, di ottenere il raddoppio delle resistenze, perché riduciamo quasi a zero i vuoti, la permeabilità, e aumentiamo, pertanto, del 100% la compattezza. Laddove, con un dosaggio di cemento di circa 300 kg/mc, altri garantiscono un Rck 30, noi garantiamo un Rck 55/60. Queste sono reali economie».

 

Qualità dell’Aeternum HTE

L’ing Giovanni Di Sciascio, che è stato incaricato dall’Istituto Italiano per il Calcestruzzo di affiancare il Geom. Cocco nella messa a punto del prodotto, è un’ingegnere strutturista specializzato nello sviluppo di software di calcolo (progettista e sviluppatore software della Di Sciascio Srl). L’intervento dell’Ing. Di Sciascio, che ai meno attenti sarebbe potuto sembrare, in modo riduttivo, un accurato (per quanto breve) trattato teorico associato a una lettura della normativa, è stato, invece, la più plastica e acuta dimostrazione del fatto che, dietro alla tecnologia dell’Aeternum HTE, c’è una ricerca, c’è un calcolo, c’è un percorso di riflessione che va oltre il semplice processo di messa a punto di un calcestruzzo ad alte prestazioni. Tutte le applicazioni svolte da Tekna Chem, del resto, contemplano, oltre al prodotto, anche il calcolo (e ora, a corroborare questa “vocazione” al calcolo, Tekna Chem ha messo a punto il software Tekna Struct). In ogni modo, basti ricordare, tra i molti possibili, un esempio per tutti citato dal Geom. Cocco: una pavimentazione in postensione senza nessun tipo di giunto. «Mi vanto di aver presentato in Italia il primo pavimento progettato e firmato da un professionista. Vale a dire: un pavimento calcolato».

Dopo aver anche illustrato, con brevità, la genesi dei calcestruzzi fibrorinforzati (nati – come forse è noto – negli Stati Uniti negli anni Quaranta), l’Ing Di Sciascio ha sottolineato i pregi dell’Aeternum HTE rispetto a un calcestruzzo convenzionale: elevata resistenza a compressione, significativa resistenza residua a trazione, maggiore resistenza alla fatica, agli urti, allo stress termico e all’abrasione.

L’Aeternum HTE è un materiale premiscelato che viene fornito in due componenti. Un componente A, che è il microbetoncino, e un componente B, che contiene le fibre. Questa miscelazione, a cui viene aggiunta anche acqua, deve essere fatta meccanicamente. «Durante la miscelazione è importante fare attenzione» – ha precisato Di Sciascio – «che le fibre siano uniformemente distribuite. Grazie alla presenza di fibre si ha una resistenza a trazione della matrice in fase fessurata. Il calcestruzzo fibrorinforzato può anche avere un comportamento degradante (non è il caso dell’Aeternum HTE): raggiunta la resistenza a trazione della matrice, la tensione può diminuire – e questo di solito accade quando il contenuto di fibre non è elevato – quindi sostanzialmente la resistenza a trazione della matrice è anche il valore massimo di resistenza a trazione che il materiale può fornire, dopo di che c’è un comportamento degradante. All’aumentare del contenuto di fibre, grazie a un fenomeno di multifessurazione, si riesce ad avere un comportamento incrudente, quindi una resistenza ultima maggiore di quella di prima fessurazione della matrice. La cosa importante è che questa resistenza ultima, sia per materiali con comportamento degradante sia per materiali con comportamento incrudente, è funzione della frazione volumetrica di fibre, del rapporto d’aspetto e dell’aderenza tra fibra e matrice. Lavorando sul rapporto d’aspetto si riesce, magari anche con un contenuto di fibre minore, ad ottenere una forza d’estrazione elevata delle fibre dalla matrice, che si riflette in una maggiore resistenza ultima del materiale composito». L’ing. Di Sciascio ha poi illustrato esempi di interventi su strutture esistenti tramite incamiciatura con Aeternum HTE, partendo da singoli elementi (pilastro, trave, pila da ponte), per arrivare alla progettazione di un intervento su un’intera struttura. Gli esempi presentati, suffragati da calcoli, hanno evidenziato i notevoli incrementi di resistenza e duttilità che si riescono ad ottenere con l’applicazione di camicie con spessori contenuti. Grazie alle sue caratteristiche meccaniche, l’Aeternum HTE si rivela pertanto estremamente efficace, in particolar modo per gli interventi su pilastri e nodi trave-colonna: ciò consente di pervenire al rispetto della gerarchia delle resistenze tra trave e pilastro e di evitare quindi la formazione di piani soffici, che costituiscono la principale vulnerabilità sismica degli edifici esistenti in cemento armato esistenti, progettati in assenza di specifiche normative antisismiche.

Va precisato che, per ottenere un calcestruzzo fibrorinforzato a prestazioni garantite, non è sufficiente aggiungere delle fibre a una matrice di calcestruzzo. È indispensabile, invece, l’opportuna progettazione della miscela del composito e la corretta posa in opera.

Il Geom. Cocco ha raccontato la propria assidua ricerca per individuare la fibra giusta (le fibre di acciaio possono essere classificate in base al processo di produzione, alla forma ed al tipo di materiale) e ha poi ricordato «la necessità di considerare la fibra come se fosse un inerte (anche se non ne parla nessuna norma): il volume di calcestruzzo progettato con l’aggiunta delle fibre non è più 1 m3, ma è 1 m3 più il volume delle fibre che introduco. Di conseguenza, tutti i dosaggi vanno aggiornati. Anche il volume d’acqua che impiego per un calcestruzzo senza fibre è inferiore a quello che uso per un calcestruzzo con le fibre, per il semplice fatto che ho una superficie specifica da bagnare superiore nel calcestruzzo con le fibre. E questi aspetti purtroppo non si considerano mai. Tanto che, durante l’impiego delle fibre, sempre per ragioni di risparmio economico, specialmente nel settore delle pavimentazioni industriali, le imprese che fanno le pavimentazioni acquistano in proprio le fibre e le aggiungono al calcestruzzo direttamente in cantiere. In sostanza, modificano arbitrariamente la ricetta del produttore. E ciò, purtroppo, accade abitualmente».

 

La vera sostenibilità

«Abbiamo fatto due calcoli», precisa la Dott.ssa Campioni: dal momento che il nostro microbetoncino fibrato, realizzato con l’Aeternum HTE, ha al proprio interno dell’acciaio e del cemento, ci è sembrato giusto calcolare anche l’emissione di CO2 derivante dalla produzione di due componenti in un caso tipico, relativo ad un intervento di incamiciatura di un pilastro esistente». Dai dati presentati emerge con chiarezza che un ripristino fatto con l’Aeternum HTE può sviluppare 75 chilogrammi di CO2 con una vita utile di oltre 200 anni. Mentre un ripristino standard, quindi con calcestruzzo e armature, per avere le stesse prestazioni del rinforzo dell’HTE potrebbe sviluppare 330 chilogrammi di CO2 con una vita utile di cinquant’anni. Il concetto è stato ripreso e ulteriormente sviluppato dall’Ing. Di Sciascio: «Considerando solo 3 metri di sviluppo ho calcolato quanti chili di ferro abbiamo nella soluzione tradizionale.

Abbiamo 64 kg di acciaio: 29 kg di barre longitudinali e 35 kg di staffe. Tenuto conto del fatto che un 1 kg di acciaio produce 1,8 kg di CO2, nella soluzione tradizionale abbiamo 115 kg di CO2 già solo per il fatto di avere l’armatura. Abbiamo poi 0,48 m³ di calcestruzzo (con l’Aeternum HTE ne abbiamo solo 0,16 m3). Rispetto all’Aeternum HTE abbiamo quindi più m³ di calcestruzzo. In totale, il ripristino eseguito con la soluzione tradizionale produce 330 kg di CO2, con una vita utile di cinquanta/sessant’anni circa. Con l’Aeternum HTE, invece, non abbiamo l’impiego di armatura. Abbiamo solo 0,16 m³ di Aeternum HTE, con una produzione totale di 75 kg di CO2. Già da questo primo confronto l’Aeternum HTE esce decisamente vincente. In più, tenendo conto che l’Aeternum HTE ha una vita utile pari almeno a quattro volte quella del calcestruzzo tradizionale, ci si può permettere di ridurre gli interventi del 75%. Abbiamo, in tal modo, uno strabiliante risultato a favore dell’Aeternum HTE: la soluzione con calcestruzzo tradizionale ha una produzione di CO2 maggiore di circa 18 volte». Pertanto, ricorrendo all’uso dell’Aeternum HTE, siamo di fronte ad una reale durabilità eco-sostenibile, ad una sostenibilità basata sulla verità dei numeri.

 

A cura di leStrade
in collaborazione con Istituto Italiano per il Calcestruzzo Fondazione per la Ricerca e gli Studi sul Calcestruzzo

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