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Esame di coscienza per un salto di qualità

Tempo di lettura: 11 minuti

Esame di coscienza per un salto di qualità

I molteplici problemi del settore si risolvono solo partendo dalla scuola e costituendo un network – una catena della qualità – tra tutte le intelligenze della filiera del costruire, dai progettisti alle imprese, dai produttori alle stazioni appaltanti. È quanto stanno facendo il laboratorio permanente di Concretezza e l’Accademia del Calcestruzzo, che sta avviando i corsi online per portare sul mercato una figura cruciale come il tecnologo del calcestruzzo. Ci parla di questo, e molto altro, Silvio Cocco, Presidente della Fondazione IIC.

Silvio Cocco, presidente Fondazione IIC
Silvio Cocco, presidente Fondazione IIC

Dunque si riparte, ma in che contesto, in che condizioni? Il 4 maggio 2020 è la data che nei libri di storia verrà ricordata come l’inizio della Fase 2 dell’emergenza Covid-19, quella delle prime, tutelate, riaperture sia in ambito sociale, sia, soprattutto, in ambito professionale. Occupandoci di infrastrutture e costruzioni, lo stesso 4 maggio abbiamo voluto raccogliere la voce di uno dei protagonisti del nostro settore per fare il punto sul medesimo e per capirci qualcosa di più, per l’appunto, su contesto e condizioni. L’ambito è quello del calcestruzzo, spina dorsale almeno dagli anni Trenta del secolo scorso di tutta la nostra edilizia, di tutte le nostre opere pubbliche. Materiale cruciale, dunque, la cui qualità – indice primario di sicurezza – deve essere una priorità per tutti.

È così? E, se non lo è, lo tsunami Coronavirus – che ha riguardato la salute, in primis, ma anche gli stili, i comportamenti, le coscienze di tutti noi – potrebbe in qualche modo e da qualche prospettiva contribuire a cambiare le cose? Lo sta già facendo, per esempio, dal punto di vista della sicurezza sul lavoro e dunque nei cantieri, materia posta al centro di tutte le politiche aziendali. Così come da quello della gestione dei trasporti e della mobilità, con trasformazioni epocali anche in chiave ambientale. E nel mondo delle costruzioni?

Ne abbiamo parlato con Silvio Cocco, specialista tecnico, imprenditore, educatore, nonché presidente della Fondazione Istituto Italiano per il Calcestruzzo, che da molto tempo svolge un duplice ruolo, in entrambi casi portatore di benefici diffusi: quello di innovatore nel campo della scienza (dei materiali) e quello di promotore di buone pratiche nel campo della coscienza (tecnica). In questa seconda veste, Cocco è stato l’ideatore di una manifestazione finalizzata a riunire le migliori intelligenze del settore in una rete permanente di filiera, quella di Concretezza, la cui edizione 2019 è stata ospitata dallo splendido Castello di Rivalta (Piacenza) con vista sul fiume Trebbia e ha avuto il merito di legare i diversi anelli della catena del buon costruire, dalla scuola alle stazioni appaltanti. Il lavoro corale degli specialisti riuniti nel borgo di Rivalta, che hanno già aperto un canale di interscambio continuo tra di loro e con altri network, è ora confluito nel Rapporto Concretezza 2019, un’opera corale e solare, un concentrato unico di idee, analisi critiche e soluzioni operative di miglioramento che ora sta circolando sui tavoli dei normatori e dei decisori, con il proposito di aggregare forze sempre nuove accomunate da un’unica idea portante: costruire insieme un percorso che porti dritto alla qualità.

L’istituzione dal mese di maggio eroga anche corsi a distanza per tecnologi del calcestruzzo e ulteriori specializzazione
L’istituzione dal mese di maggio eroga anche corsi a distanza per tecnologi del calcestruzzo e ulteriori specializzazione

leStrade. Geometra Cocco, gli esami, come si suol dire, non finiscono mai. Una metafora che appare calzante sia che si parli di scienza, sia di coscienza. Per arrivare alla prima, infatti, occorre studiare (e superare dunque una serie di esami), mentre la seconda dovrebbe essere sempre in qualche modo sotto esame, per migliorare le regole e i comportamenti. Questo in linea generale. Ma come vanno le cose nel settore del calcestruzzo e delle costruzioni?

Cocco. Per quanto riguarda la scienza, ovvero la ricerca e l’innovazione, vi sono esperienze singolari nel nostro Paese di assoluta eccellenza. Sulla coscienza, con annesso relativo esame, speriamo davvero che lo shock Covid-19 porti maggiore autocritica e quindi saggezza e spinta al cambiamento in molti ambiti. Naturalmente non esiste un legame diretto con quanto accaduto con il Coronavirus e il mondo delle costruzioni, ma indiretto sì. Questo “vuoto” che abbiamo tutti vissuto potrebbe essere ben riempito lavorando sui grandi princìpi, sui fondamentali, che devono condurre alla qualità e, con essa, alla sicurezza delle nostre strutture e infrastrutture.

leStrade. In estrema sintesi, come si raggiunge l’obiettivo della qualità delle costruzioni?

Cocco. Facendo quello che abbiamo fatto noi a Concretezza, partendo dal “laboratorio” del Castello di Rivalta, nel settembre scorso, che ha ricevuto anche il sostegno del Ministro Paola De Micheli: mettendo allo stesso tavolo, con il fine di dialogare sui fondamentali, i rappresentanti di tutti gli anelli della catena del costruire, partendo dalla scuola – la base di tutto – per arrivare alle stazioni appaltanti, che, attraverso la redazione dei capitolati, hanno un ruolo decisivo. Ma anche gli anelli inermedi sono tutti strategici: i progettisti, le imprese, i produttori e i controllori.

leStrade. Una rete, insomma, un network fondato su un obiettivo prettamente prestazionale: la qualità. Come si svilupperà quest’esperienza?

Cocco. Si è già sviluppata, si sta già sviluppando. I “tavoli” sono idealmente permamenti, il network, attraverso le singole esperienze, è sempre al lavoro. Un buon punto di partenza, una sorta di grande mappa delle criticità e delle proposte sul piatto, è il Rapporto Concretezza 2019, che abbiamo pubblicato e che sta facendo il giro del settore. E si tratta, vorrei sottolinearlo, di un network aperto, in costante progresso. Chi ha idee, le esprima, se sono buone e utili, siamo qui per sostenerle.

leStrade. Entriamo nel vivo dei problemi del settore. Torno alla prima domanda: come vanno le cose?

Cocco. C’è innanzitutto un problema di limitata efficacia normativa. Le linee guida per esempio dicono che il calcestruzzo deve essere prodotto in stabilimento, ma qui si fermano. Prodotto come, da chi, con quali controlli? La fase più importante nella produzione odierna di calcestruzzo avviene dentro un’autobetoniera ed è governata da un autista. Devo dedurne che lo stabilimento è l’autobetoniera e il suo titolare è l’autista?

leStrade. Deduzione paradossale, forse, ma che fotografa bene le contraddizioni della prassi. E pone il dubbio sullo spirito della legge.

Cocco. Le linee guida dovrebbero semplicemente andare oltre, ma per farlo si dovrebbe toccare il tema chiave dell’assenza dell’obbligo dell’impiego del mescolatore nel contesto italiano, a differenza di quanto accade in tutti i paesi più avanzati, ma non solo. La questione è antica, ma sempre attuale perché irrisolta. Tutti gli studi hanno dimostrato che la costanza di prodotto garantita dalla mescolazione è un primario fattore di qualità. Ma non è l’unico, naturalmente.

Il grande assente nella nostra filiera: il mescolatore (qui quello esposto a Concretezza 2018 e destinato al mercato USA)
Il grande assente nella nostra filiera: il mescolatore (qui quello esposto a Concretezza 2018 e destinato al mercato USA)

leStrade. Da dove partire, o ripartire, dunque?

Cocco. Semplicissimo, lo ribadisco: dalla scuola, dalla formazione, dalla cultura tecnica. Proprio all’inizio di quest’anno abbiamo inaugurato l’Accademia del Calcestruzzo a Renate, presso la nostra sede. Poco dopo, l’emergenza Covid-19 ci ha portato a investire in un ulteriore progetto di didattica, a distanza, utilizzando il web. Entro la fine di questo mese (maggio, ndr) parte il primo corso online per tecnologi del calcestruzzo, è la nostra base formativa classica su cui andranno presto a innestarsi quattro percorsi di specializzazione tecnica, pensati per colmare evidenti lacune di mercato. Sono: certificatore, di cave, cementerie e centrali di betonaggio; gestore degli impianti di betonaggio; responsabile della qualità per l’Impresa; e tecnico-commerciale per la vendita di calcestruzzo, compresi calcestruzzi speciali ad alte prestazioni.

leStrade. Un’iniezione massiccia di professionalità fresche e mirate, dunque. È di questo che ha bisogno il settore?

Cocco. Questa è la condizione necessaria, ma non sufficiente, perché i nodi da sciogliere sono molti. Per illustrarli partirei da alcune considerazioni: nel nostro Paese, a parte le incompletezze a cui accennavamo, gli strumenti normativi esistono, possiamo contare, usando una metafora, su una sorta di “Codice della Strada”. Esiste infatti una marcatura CE sugli aggregati, una certificazione degli impianti di betonaggio, un sistema di controlli sui cementi, e via dicendo. Quello che non si vede all’orizzonte, invece, è un’autorità che sorvegli sull’applicazione rigorosa delle norme. È un po’ come se 60 milioni di Italiani se ne andassero in giro per le strade senza nessuno che li controlli, senza Polizia Stradale o vigili urbani.

leStrade. Uno di questi “vigili” potrebbe essere il direttore lavori, in alcuni casi presente in cantiere in altri meno, come abbiamo potuto rilevare parlando con alcuni addetti ai lavori. Qual è il suo punto di vista al proposito?

Cocco. Anche in questo caso le norme ne imporrebbero la presenza, o una delega specifica. Per quanto riguarda il settore del cemento e del calcestruzzo, non posso che confermare questa non assiduità. Motivata da che cosa? Alcuni rumors adducono non so quali impedimenti burocratici o procedurali, o impegni di altro genere. A me viene da pensare: ma non sarà perché le competenze specifiche sul calcestruzzo – naturalmente con le dovute eccezioni che esistono e sono, in questo contesto, estremamente meritorie – non sono poi così diffuse?

Strade. Si torna così alla formazione, come volevasi dimostrare.

Cocco. Sì, perché è solo la formazione che potrà colmare l’assenza di una figura chiave come il tecnologo del calcestruzzo, in cantiere ma ancora prima. Pensiamo agli studi di progettazione. Oggi non esiste più l’ingegnere-tuttologo, ma si lavora sulle specializzazioni profonde. Perché allora, accanto al progettista, non opera quasi mai la figura del tecnologo del calcestruzzo? Il professionista che sappia progettare il materiale in tutti i suoi risvolti e caratteristiche, dalla resistenza a flessione a quella a compressione, dalla lavorabilità al rapporto acqua-cemento e via dicendo?

leStrade. Mancanze a valle e mancanze a monte…

Cocco. E anche nel mezzo del cammino, ovviamente. Nelle cave, per esempio, siamo sicuri che vi siano tutte queste competenze nel certificare correttamente gli aggregati? Io stesso mi sono imbattuto in mezzi d’opera che trasportavano sabbia, ma il materiale era certificato come ghiaia…

Capitolo centrali di betonaggio. Per aprirne una basta avere un certificato di impatto ambientale, non servono competenze approfondite. Poi c’è la questione cruciale, di cui abbiamo già detto, della produzione” in autobetoniera e dell'”autista-produttore”… Riassumendo: il calcestruzzo, in rari casi progettato, viene prodotto con materie prime di dubbia certificazione, in un impianto di dubbia certificazione, da una professionalità che fa un altro mestiere. Alla consegna in cantiere, i controlli effettivi di conformità sono merce rara, così come la correttezza esecutiva, che non sempre viene verificata. Il risultato: dopo 28 giorni emergono le problematiche e la palla, spesso e volentieri, passa ai tribunali. Questa è la triste odierna realtà, emersa anche dalle analisi svolte dagli esperti di Concretezza.

leStrade. Concretezza ha voluto costruire una catena coesa di anelli ben saldi, da contrapporre alla catena che lei ci ha rappresentato, su cui molto c’è da lavorare… È lo spirito costruttivo che deve immediatamente subentrare una volta che lo spirito critico ha compiuto il suo doveroso lavoro.

Cocco. Piangersi addosso può servire fino a un certo punto, occorre criticare e proporre su basi serie e produttive. Occorre dialogare, ed è quello che stiamo facendo partendo dai tavoli di Concretezza. Una grande catena il cui primo e principale anello è, come detto, la formazione. Quello educativo è stato uno dei focus trasversali per eccellenza, preso a cuore di tutti i componenti della filiera. La parte migliore del nostro settore ha sete di cultura, ha sete di professionalità. Nel nostro mondo avviene quello che in fondo è avvenuto a livello Paese: siamo arrivati a questo punto anche e soprattutto perché non abbiamo investito massicciamente e intelligentemente in “scolarizzazione”.

leStrade. Lo shock Covid-19 può far invertire questa rotta?

Cocco. Come dicevo, questo è solo un auspicio per ora. Non mi conforta vedere che pur dentro questa emergenza c’è in giro chi ancora pensa ad avere visibilità, per esempio via social, plaudendo a questa o a quella iniziativa od opinione senza dare un contributo specifico in termini di studio, approfondimento, analisi ponderata. Anche su questi atteggiamenti occorrerebbe un sano esame di coscienza.

leStrade. A proposito di social, e in generale di comunicazione “superficiale”, l’ultimo periodo è stato caratterizzato anche da ulteriori crolli (di ponti, sul Magra) e ricostruzioni sprint (sempre di ponti, nel caso specifico quello sul Polcevera a Genova). Ancora una volta è stata tirata in ballo, non solo da giornalisti ma anche da alcuni tecnici del settore, la questione della non-eternità del calcestruzzo…

Cocco. La questione deve essere per prima cosa storicizzata. Esclamare che il calcestruzzo non è longevo e mettere in croce, mediaticamente parlando, il progettista, non è approccio tra i più seri. Noto l’assenza, parlando del Polcevera o di altri manufatti, di analisi profonde su caratteristiche e vita residua del materiale. Ricordiamoci che stiamo parlando di contesti del tutto differenti da quello odierno.

Negli anni Sessanta il calcestruzzo, un cui progetto non era nemmeno ventilato, si trasportava in cantiere con il ribaltabile, con il Fiat 615, per esempio, che portava da 1 a 3 metri cubi alla volta. Altre volte la produzione avveniva direttamente in cantiere: si versava il cemento dai sacchi a un tavolato allestito perché non toccasse terra, e si procedeva a occhio, muscoli e palate. Dieci di sabbia, 5 di ghiaia, un sacco di cemento, poi l’acqua misurata a secchi. L’impasto lo si valutava lì per lì. Certo c’erano grande esperienza ed economiabile competenza, ma si doveva fare i conti con quegli standard. Badiamo bene, per i tempi i risultati sono stati davvero eccezionali, anche in virtù di un corpus normativo i cui princìpi sono ancora attualissimi, penso per esempio al Regio Decreto del 16 novembre 1939, a firma Vittorio Emanuele III, riguardante le “opere in conglomerato cementizio semplice o armato”. Una norma di appena 28 pagine contro le 372 pagine delle NTC 2018 diviso in 5 capi, che già fanno intuire tutto: prescrizioni, qualità dei materiali, norme di progettazione, norme di esecuzione, norme di collaudo. A corollario, un allegato con l’elenco dei laboratori sperimentali ufficiali…

leStrade. Un sistema senz’altro efficace al tempo, ma che non può essere collocato in una logica a ciclo di vita, la base di ogni moderno approccio progettuale.

Cocco. Certamente. L’opera oggi deve essere studiata nella sua dinamicità, nella sua capacità di evolversi nel tempo. E lo stesso vale per i materiali di cui è costituita. Al tempo della costruzione del ponte sul Polcevera non si progettava, non c’erano analisi sugli aggregati. Per la sabbia si adottava ancora la regola di Vitruvio: se la stringi nel pugno, la strofini e “canta”, ovvero fa rumore, allora è pulita, si può usare. Se invece tutto tace significa che ha impurità, presenta componenti d’argilla che la placano. Ho fatto espressa richiesta di poter esaminare dei campioni di parti demolite del ponte di Genova per fare tutte le prove del caso e conoscere a fondo i tratti del materiale costruttivo. Spero davvero di poter soddisfare questa mia curiosità.

leStrade. Tornando all’oggi, più che mettere in croce un materiale, come dice lei, sarebbe forse più utile concentrare l’attenzione sulla qualità del progetto e su quella del prodotto…

Cocco. …senza dimenticarci del controllo: mi rincresce tornare a sottolineare il fatto che un settore cruciale come il nostro, che realizza case, scuole, ponti e gallerie, non vanta gli stessi standard di verifica di tutti i processi in atto di gran parte dei settori industriali, dall’automotive ai mobilifici.

leStrade. E sul progetto?

Cocco. Giovanni Cardinale, vicepresidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, sostiene, e a ragione, che il progetto va cucito, deve essere un’opera sartoriale. E deve prevedere tutto lasciando ben poco al caso. Deve essere evolutivo, fatto su misura della vita utile dell’opera. Fanno così gli Svizzeri, i Tedeschi, gli Olandesi. Non vedo perché non dovremmo riuscirci anche noi. Il professor Donato Carlea, ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, parla di “progetto perfetto”. Ovvero che deve tenere conto degli imprevisti. Sono gli stessi princìpi che ho appreso nei testi della mia formazione: sul costo dell’opera il 20% è utile d’impresa, mentre il 10% riguardava oneri e imprevisti.

Calcestruzzo di nuova concezione Aeternum CAL, durevole e a impermeabilità zero, impiegato per la realizzazione di pavimenti postesi e anche per opere edili e infrastrutturali (incluse le manutenzioni)
Calcestruzzo di nuova concezione Aeternum CAL, durevole e a impermeabilità zero, impiegato per la realizzazione di pavimenti postesi e anche per opere edili e infrastrutturali (incluse le manutenzioni)

leStrade. Dal progetto perfetto al prodotto perfetto: oggi il calcestruzzo, oltre che debitamente progettato e controllato, può giovarsi di anni di ricerca, sviluppo e innovazione.

Cocco. Qui ripasso dalla coscienza alla scienza. Noi da 15 anni facciamo l’Aeternum CAL, un calcestruzzo realizzato con un compound di additivi ad altissime prestazioni che ci ha consentito di costruire opere, per esempio i pavimenti postesi, che sono oggi esattamente nelle stesse condizioni del giorno del collaudo. Quindici anni tondi senza sbavature di sorta. Il calcestruzzo eterno è una consolidata realtà. Si ottiene lavorando sulla durabilità, sul basso rapporto acqua-cemento, sulle resistenze, che abbiamo più che raddoppiato rispetto ai prodotti tradizionali, e soprattutto sull’impermeabilità. A questo proposito, in Italia vige una norma in base alla quale un calcestruzzo è definibile impermeabile quando, sottoposto a una determinata colonna d’acqua per un tempo dato, il liquido non penetra oltre i 2,5 cm. Ma se l’acqua penetra, come posso parlare di impermeabilità? Su queste basi il copriferro dovrebbe avere uno spessore minimo di 3 cm, ma anche in questo caso la “barriera” non è mai invalicabile. Noi, invece, abbiamo raggiunto l’obiettivo della penetrazione zero: l’acqua non entra nel cubetto e nemmeno il vapore. Quindi non entra nemmeno l’anidride carbonica e non insorgono fenomeni di carbonatazione.

Il calcestruzzo del buon tempo andato: preparazione dell’impasto cementizio in cantiere nel 1962
Il calcestruzzo del buon tempo andato: preparazione dell’impasto cementizio in cantiere nel 1962

leStrade. Scienza e coscienza. Buone pratiche e ottime regole. C’è proprio bisogno, a quanto pare, di tutto ciò.

Cocco. E c’è bisogno soprattutto di imparare, di un apprendimento orientato alla pratica, al mestiere. Ricordiamoci che la passione e la preparazione sono le vie d’accesso a quel “ponte” che vogliamo assolutamente costruire tra il sistema formativo e il mondo delle professioni. Non mi stancherò mai di ripeterlo: alla scuola, lasciamo il compito di formare l’uomo. Noi tecnici e imprenditori, invece, non possiamo che accettare la sfida di forgiare, con la scuola e partendo dall’uomo, il lavoratore di un mondo e di un tempo nuovo.

 

Fabrizio Apostolo – LeStrade

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